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capodanno a new york 2012

capodanno a new york 2012
capodanno a new york 2012 foto cecilia polidori

capodanno in Times Square 2012, foto Francesco G. Teratone

capodanno in Times Square 2012, foto Francesco G. Teratone
capodanno in Times Square 2012, foto Francesco G. Teratone

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foto di Massimo Befera, luglio 2011

wright chicago
chicago
chicago wright
l'Aautrice al 1365 N Astor St, Chicago, ILLINOIS
CHARNLEY - Persky HOUSE 1892,
luglio 2011
la foto di fondo è un autoritratto dell'Autrice all'interno di The Cloud Gate, AT&T Plaza, Millenium Park, S Michigan Ave, Chicago, Illinois, comunemente chiamatoThe Bean, il Fagiolo,
agosto 2011.

st

"Si continua ad abbandonare qualcosa. Si continua a dire addio. Il problema, forse, è cercare d'inventare nuove perfezioni, pensare che ogni momento è una perfezione che comunque si può perfezionare..."
Ettore SOTTSASS,
Scritto di notte, maggio 2010


"Si procede per tentativi, valutando empiricamente le diverse soluzioni possibili..."

Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, marzo 2011

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  • 1. Arte programmata/ Arte cinetica e programmata, 1/3 di post Pubblicato da Marco Lombardo a 11/21/2011 03:13:00 PM
  • 8. Gruppo T (Giovanni Anceschi, Gianni Colombo) 2/3 di post Pubblicato da Marco Lombardo a 11/21/2011 03:13:00 PM
  • lunedì 21 novembre 2011

    E.M. Arte Programmata, Gruppo T

    “Per rendere più lineari i risultati delle mie ricerche, ne organizzo in modo sistematico le fasi: il concetto di programma diventa prima l’asse portante, poi l’obiettivo finale del mio lavoro .Sto parlando di quel tipo d’indagini che vanno sotto il nome di Arte Programmata
    Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011,1° ediz., pg. 41
    “Non ero il solo a muovermi in quella direzione. Nel 1959 nasce a Milano il Gruppo T, composto da cinque studenti dell’Accademia di Brera (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gabriele De Vecchi, Gianni Colombo, Grazia Varisco), di una decina d’anni più giovani di me, che affrontavano le tematiche dell’Arte programmata.”
    Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011,1° ediz., pg. 43
    L'Arte Programmata nasce in Italia agli inizi degli anni Sessanta. Il termine viene usato la prima volta da uno degli esponenti principali del movimento, Bruno Munari, in occasione della mostra chiamata appunto "Arte Programmata", organizzata a Milano nel 1962all'interno di un negozio Olivetti. Alla base della sua nascita sta la riflessione sui risultati delle conquiste scientifiche e tecnologiche di quegli ultimi anni, una riflessione che contempla una diversa collocazione culturale del lavoro dell'artista, alla ricerca di un rigore in grado di essere un'alternativa al gusto volubile avvertito nel pubblico e che quindi instaura con la macchina un rapporto più diretto trasformandola in uno strumento di valorizzazione estetica.

    Le componenti alla base delle ricerche dell'Arte programmata sono in sostanza due. Da un lato c'è l'interesse per processi ideativi diversi che si avvicinino ai nuovi sistemi produttivi, dall'altro il desiderio di sottrarsi alle regole del mercato dell'arte che privilegia l'opera unica e irripetibile e che, nel momento stesso in cui mercifica il prodotto, mortifica gli intenti culturali e sociali di chi lo ha realizzato: "L'opera artistica non può essere un pezzo unico, ma bisogna mirare alla serialità per dare così la possibilità a più persone di possedere un'opera d'arte anche se riprodotta" (Munari).

    Il campo d'azione privilegiato dell'Arte programmata è quello dell'indagine sulla percezione visiva della realtà, utilizzando deformazioni stroboscopiche e studi scientifici sul movimento e sulla percezione, e ampliando quindi il raggio d'azione dell'attività artistica a un settore ritenuto finora esclusivo dominio delle discipline scientifiche. Questo cercando di sfruttare tutte le possibilità - meccaniche, luminose, elettromagnetiche - di movimento e di percezione dell'opera, programmandone quasi scientificamente il funzionamento.
    Appartengono al movimento Bruno Munari, Getullio Alviani, Enzo Mari, il Groupe de recherche d'art visuel, il Gruppo T e il Gruppo N.
    Il Gruppo T nasce nel 1959 a Milano e si sviluppa in Italia alle origini dell’Arte interattiva. Fu fondato da Boriani Davide e De Vecchi Gabriele a cui si aggiunsero Anceschi Giovanni,Colombo Gianni e Varisco Grazia.
    “Topoestesia” di Colombo Gianni, 1977

    A Zagabria, Gianni Colombo prende parte alla terza edizione di Nova tendencija. Per l'occasione realizza Topoestesia-Ambiente sperimentale a zone contigue, un ambiente coinvolgente il comportamento dello spettatore, i suoi riflessi di postura (sinestesia, bariestesia, topoestesia).
    Il Gruppo T fu tra i più importanti gruppi di Arte cinetica e programmata in Italia, il quale introdusse una forma di arte innovativa, attraverso la realizzazione di esperimenti percettivi e di ambienti interattivi finalizzati a sollecitare e ricreare reazioni diverse e inaspettate nello spettatore.
    Il gruppo, fondato da Boriani Davide e De Vecchi Gabriele, si definì come Gruppo T, riferendosi al concetto di tempo, come nuova variabile del divenire in una dimensione spazio temporale, che coinvolge completamente il fruitore.
    Il gruppo può essere considerato tra i precursori dell’Arte cinetica che nasce effettivamente nel 1961, in seguito alla sperimentazione di oggetti in movimento condotta da Calder Alexander e Munari Bruno, che propose esperimenti di carattere percettivo, tramite l’ideazione di artefatti, che acquistano caratteristiche proprie attraverso un intervento esterno del fruitore, analogamente proposti da Vasarely Victor e dal Gruppo N. Il gruppo T si propone in un periodo altamente significativo per l’arte internazionale, presentandosi in concomitanza alla nascita di gruppi con intenti artistici analoghi, come ad esempio il Gruppo Zero di Dusseldorf, Gruppo N, Grav o Groupe de Recherche d’art visual e Equipe 75 con i quali condivide l’aspetto di rottura verso le forma artistiche tradizionali e la ricerca di una nuova forma d’arte altamente innovativa e radicale. Il Gruppo T fu particolarmente critico e severo verso il concetto di espressività oggettiva, che connota e riassume l’atteggiamento conservatorista dell’arte tradizionale, che rinnega attraverso un’indagine della variabilità percettiva dell’oggetto nel fruitore. L’intento del gruppo, espresso attraverso una vasta sperimentazione, è di sdoganare l’arte proponendo un nuovo rapporto tra opera ed osservatore, che trascenda i limiti e le direttive imposte dalle tecniche tradizionali, per guidare, orientare e coinvolgere completamente il fruitore dell’opera verso un’esperienza soggettiva multisensoriale.
    La produzione artistica del gruppo fu quindi condotta attraverso la ricerca di nuove modalità espressive e tecniche di coinvolgimento dello spettatore. E’ possibile identificare due differenti percorsi della sperimentazione artistica: una fase iniziale, contrassegnata dall’ideazione di pioneristici lavori cinetici e programmati, ed una successiva fase, che ha inzio dal 1964 circa, attraverso la riproduzione di ambienti immersivi ed interattivi.
    Dal 1959, anno della sua costituzione, al 1964 circa, il gruppo produce una vasta quantità di opere finalizzate ad introdurre una nuovo livello di interazione tra l’opera e il fruitore. Le prime esperienze del Gruppo T, a tal riguardo, sono riconducibili alla prima mostra Miriorama, a cui seguirono 12 edizioni fino al 1962, durante la quale furono resi pubblici gli esiti della ricerca condotta. Nell’esposizione gli artisti presentano ed esprimono nelle proprie opere una forte adesione al reale, attraverso la trasformazione e la variazione dell’opera stessa da parte del fruitore. Nel 1962, oltre all’organizzazione e alla partecipazione alla mostra Miriorama, a pochi anni dalla sua istituzione, il Gruppo T partecipò insieme ad altri gruppi italiani e stranieri alla mostra “Arte programmata”, per confrontare la propria produzione con le opere presentate da movimenti analoghi. Il gruppo T produce opere aperte, in cui il significato artistico della creazione può essere compreso dal fruitore soltanto attraverso un’esperienza di completa partecipazione, con l’attivazione di dispositivi ed artefatti artistici, manipolabili tramite l’intervento manuale o meccanico. L’opera aperta legittima il fruitore ad intervenire e necessita di un intervento da parte dell’osservatore, che diventa agente e fruitore attivo dell’opera stessa. Da tale produzione il gruppo anticipò la pratica interattiva e immersiva attraverso l’ideazione di opere attivabili attraverso il dispositivo-corpo dell’osservatore che attirerà l’interesse di altri laboratori artistici come il Gruppo N o Grav, che furono fortemente influenzati ed orientati dalla tradizione del concretismo e del costruttivismo. Il concetto di interattività fu predominante nella poetica del Gruppo T dal 1959 al 1964. Durante la metà degli anni Sessanta, il gruppo rivolse il proprio interesse ed orientò la propria ricerca alla realizzazione di ambienti interattivi mobili e provvisori, strettamenti collegati alle reazioni del fruitore.
    Al concetto di interattività si aggiunge il concetto di abitabilità, espresso attraverso il tentativo di ricreare un nuovo legame e rapporto tra arte ed ambiente. Dal 1964, il gruppo inizia ad ampliare le proprie prospettive, attraverso la realizzazione di ambienti immersivi e interattivi, finalizzati a modificare le aspettative del fruitore, alterandone la percezione con trucchi illusori ed ingannevoli percezioni, per rendere l’opera totalmente imprevedibile e destare una sensazione di straniamento e di spaesamento nel fruitore. Gli ambienti immersivi ed interattivi furono ideati attraverso la riproduzione di uno spazio attivo instabile, mobile e provvisorio, legato alla completa esperienza polisensoriale dell’osservatore Durante questa fase, i componenti del gruppo idearono opere utilizzando tecniche industriali e dell’industrial designer altamente riformatrici, che furono applicate al lavoro artistico, per ricreare e rifondare il rapporto tra arte e ambiente, attraverso una percezione prettamente soggettiva dello spettatore.
    Il gruppo T si distingue in tal modo da analoghi e paralleli gruppi artistici, come op/tical art contrapposto alla pop/ular art, per la mutevolezza, l’instabilità e la volubilità dell’opera, resa accessibile attraverso interpretazioni relativistiche, la cui rappresentazione è in continuo divenire. La riprova dell’intervento atti
    vo del fruitore è confermata dalla provocatoria etichetta“si prega di toccare”, posta sulle opere esposte durante le mostre, per analizzare le reazioni del pubblico.


    “Ambiente a shock luminosi” di Anceschi Giovanni, 1964

    Percorrendo due spazi accostati si ha l’impressione della scomparsa della demarcazione spaziale.
    “Grande oggetto pneumatico - Ambiente a volume variabile”, Gruppo T, 1959/60

    Sette elementi tubolari in polietilene sono gonfiati e sgonfiati alternativamente. Lo spazio della galleria risulta strutturato ogni volta in modo diverso immerge e avvolge gli spettatori e costretti a spostare i palloni che li coinvolgono.

    Link di riferimento:
    Testo:
    Arte programmata
    http://www.micamera.com/photoculture/cat170.htm
    Gruppo T
    Immagini:
    Arte programmata
    http://www.naba.it/site/home/news-ed-eventi/eventi-in-corso/articolo882.html http://www.wikideep.it/arte-programmata/
    Gruppo T
    http://www.flickr.com/photos/38120108@N08/5401757353/ http://www.arcadja.com/auctions/it/boriani_davide/prezzi-opere/63451/ http://www.italiadiscovery.it/dettaglio_art.php?PHPSESSID=b1ceb5a32c480a0b9ab6b36a02c1b953&id=216&user_lang=4
    http://www.gabrieledevecchi.it/opera.php?idO=18 http://www.davideboriani.com/media/interfaccia.htm
  • 1. Arte programmata/ Arte cinetica e programmata, 1/3 di post Pubblicato da A. Azzurra Micalizzi a 11/24/2011 03:56:00 PM
  • 8. Gruppo T (Giovanni Anceschi, Gianni Colombo) 2/3 di post Pubblicato da A. Azzurra Micalizzi a 11/24/2011 03:56:00 PM
  • giovedì 24 novembre 2011


    E.M. Arte cinetica e programmata & il Gruppo T


    “Per rendere più lineari i risultati delle mie ricerche, ne organizzo in modo sistematico le fasi: il concetto di programma diventa prima l’asse portante, poi l’obiettivo finale del mio lavoro. Sto parlando di quel tipo d’indagini che vanno sotto il nome diArte Programmata”.
    Enzo Mari, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano,marzo 2011, 1°ediz., cap. V, PAG. 41
    Negli anni sessanta, nel mondo dell’arte si sentì la necessità di trovare nuove strade espressive, che determinassero un nuovo ruolo dell'arte e dell'artista sia riguardo la scienza, i suoi metodi e la tecnologia, sia riguardo le so
    cietà, che in quegli anni stava affrontando un profondo cambiamento culturale. Gli artisti riscoprirono così le teorie delle avanguardie storiche, e si proposero di riportare avanti il discorso dove esse l’avevano lasciato. Si rivalutarono così le poetiche del Futurismo e del Dadaismo, del Costruttivismo, di De Stijl, del Concretiamo e della Bauhaus. Si formò una visione profondamente critica del mercato dell’arte e del commercio delle opere e si pensò che un’alternativa potesse essere la moltiplicazione a basso costo delle opere, per farne crollare il prezzo.
    L’artista deve "distrarre le macchine dal loro funzionamento razionale, e deve farle diventare macchine "inutili".

    Negli Stati Uniti l’arte cinetica e programmata viene ribattezzata Op art, ovvero optical art, ed in questo momento raggiunge il suo momento di fama più importante. Da allora in poi inizia per questo movimento artistico la parabola discendente. Proprio la sua fama è stata la causa della sua fine, poiché l’arte cinetica era diventata troppo famosa e quindi troppo banalizzata. Inoltre all’epoca stava diffondendosi ovunque la Pop art americana, che rispetto all’arte cinetica e programmata non affrontava nessun tipo di critica al sistema dell’arte, anzi, lo sfruttava fino alla conquista di tutto il mondo artistico. Il mercato alla fine vinse sugli ideali.
    L’arte cinetica produce opere che sono aperte e programmate, nelle quali il movimento è fondamentale. Il moto in tali opere può essere reale, con l’apporto di meccanismi, oppure illusorio e ottico, ottenuto tramite effetti di luce. L’opera d’arte programmata ha un suo ritmo, che idealmente può anche ripetersi all’infinito. In questo tipo di opere è fondamentale il coinvolgimento psicologico dello spettatore.
    Attraverso la padronanza della scienza e della tecnologia l’arte programmata studiava la percezione umana e poteva quindi analizzare la realtà in maniera straordinaria.

    La "programmazione" dell’opera dev’essere totale e controllata, non è più un’arte basata sul gesto, sulla materia, sul bisogno di espressione dell’Io, tutto questo era considerato passato. L’opera era invece considerata come un processo razionale, da controllare e da comunicare con scrupolosità. L’arte doveva avere una matrice sperimentale, costruire modelli da sottoporre a verifica empirica. La comunicazione era chiara, geometrica ed essenziale. L’opera deve stimolare la percezione visiva, renderla attiva.
    E soprattutto, una delle grandi intuizioni dell’arte programmata è quella di volere un artista che non sia più un romantico irrazionale ed istintivo, ma piuttosto un operatore culturale che lavora in squadra insieme a tecnici e scienziati, un attivista politico che sappia coniugare l’arte con la società.
    Acune Opere Significative dell'Arte Programmata:
    Meta-matic di Jean Tinguely (1959).
    Un esempio straordinario della poetica dell’artista che ha sempre coniugato l’arte delle macchine e della cinetica con l’ironia. Meta-matic, che ebbe un grande successo in mostra a Parigi, è una macchina a gettoni che dipinge quadri automaticamente. L’interazione del pubblico era fondamentale, poiché lo spettatore doveva prima procurarsi i gettoni alla biglietteria, poi poteva personalmente mettere in moto l’opera d’arte. I gettoni erano personalizzati e "coniati" Tinguely da un lato e Meta-matic dall’altro. Il fruitore dell’opera inoltre poteva scegliere il colore del pennarello che sarebbe stato applicato sul braccio meccanico di questo straordinario congegno. Una volta inserita la moneta la macchina cominciava a muoversi e dipingeva la tela bianca che era posta nell’apposito stativo. Produceva così un quadro astratto informale monocolore che rimaneva proprietà dello spettatore. Tutti i quadri fatti dalla macchina venivano infine giudicati da una giuria di prim’ordine, con tanto di premio per il quadro vincitore. Tra i giurati era presente anche Hans Arp. Un’opera metalinguistica, interattiva, cinetica che da il via ad una performance che critica in modo beffardo tutto il sistema dell’arte.
    Architettura cacogoniometrica di Gianni Colombo.

    In questo environment d’artista ci troviamo di fronte un insieme di colonne storte che fanno vacillare il nostro senso dell’equilibrio e alterano la nostra percezione dello spazio. Rientrano in questa serie di ambienti anche i pavimenti, che l’artista inclina in vari modi spiazzando il fruitore dell’opera che viene chiamato ad attraversarli. Queste architetture sono dette cacogoniometriche perché l’artista ha preso due termini: kakos (brutto, difforme) e gonios (angolo) intendendo che la sua poetica consisteva nell’usare angoli che non fossero mai perpendicolari o paralleli, ma sempre acuti o ottusi.

    Proiezione di diapositive a luce polarizzata di Bruno Munari

    In quest’opera è di primaria importanza la stimolazione visiva dello spettatore che sperimenta nuovi effetti di luce e colori che nel mondo dell’arte non si erano mai visti.
    E’ la nascita dell’arte programmata ottica, che sperimenta nuovi materiali e nuove tecnologie per creare un nuovo tipo di estetica. Bruno Munari è uno degli autori che ha sempre cercato di usare materiali alternativi e leggeri come la plastica o innovativi come il metallo verniciato. La sua poetica risente delle teorie futuriste, corrente alla quale l’artista aderito in giovane età.


    Bibliografia:
    L'ultima avanguardia. Arte programmata e cinetica 1953/1963 di Lea Vergine, catalogo della mostra, Mazzotta, Milano, 1984 Filiberto Menna;
    Torino 70 Arte programmata, catalogo della mostra, Milano, 1962;
    La linea analitica dell’arte moderna, Einaudi, Torino 1983;
    F.Popper, L'arte cinetica, Einaudi
    Rudolph Arnheim, Art and visual perception, a psicology of the creative eye, 1954;
    Alexander Alberro, Blake Stimson, Conceptual art, a critical antology, 1999
    Webliografia:
    http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Arte_cinetica_e_programmata
    http://www.babelearte.it/glossario.asp?id=149
    http://www.guzzardi.it/arte/pagine/correnti/artecinetica.html
    http://www.italica,rai.it/galleria/zoom/cinetica.htm
    http://www.artelab.it/cultura/enciclopedia/correnti/artecinetica/corpo.htm
    http://www.marcolla.it/glossario/a/arte cinetica.htm
    Bibliografia immagini:
    http://binat.wordpress.com/2008/07/27/22-arte-cineticaprogrammata/
    http://mondo-blogo.blogspot.com/search?q=bruno+munari
    http://www.ocula.it/blog/498
    http://www,italica.rai.it/scheda.php?scheda=munari munari&cat=biografie
    http://www.munarat.org/index.php?p=15
    http://www.teknemedia.net/magazine_detail.html?mId=6190
    http://www.giuseppeborsoi.it/2008/12/14/e´alberto-biasi-la-star-della-collettiva-sull´arte-cinetica-a-mel-bl/
    http://www.antoniobarrese.it/ITA/Storiche.php
    http://unlimitedmatera.wordpress.com/2011/07/08/bruno-munari-al-museo-del-novecento/
    http://www.wikideep.it/cat/movimenti-artistici/arte-cinetica/
    http://www.comune.torino.it/contemporarytorinopiemonte/mostre.shtml
    http://www.art-bit.net/community/blog/davide-boriani-arte-cinetica-programmata-interattiva

    " Non ero il solo a muovermi in quella direzione. Nel 1959 nasce a Milano Il Gruppo T, composto da cinque studenti dell'Accademia di Brera (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gabriele De Vecchi, Gianni Colombo, Grazia Varisco), di una decina d'anni più giovane di me, che affrontano le tematiche dell'Arte Programmata."


    Enzo Mari, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano,marzo 2011, 1°ediz., cap. V, PAG. 43


    Il Gruppo T fu tra i più importanti gruppi di Arte cinetica e programmata in Italia;


    si definì come Gruppo T, riferendosi al concetto di tempo, come nuova variabile del divenire in una dimensione spazio temporale, che coinvolge completamente il fruitore.

    Il Gruppo T fu particolarmente critico e severo verso il concetto di espressività oggettiva, che connota e riassume l’atteggiamento conservatorista dell’arte tradizionale, che rinnega : l’intento del gruppo è di sdoganare l’arte proponendo un nuovo rapporto tra opera ed osservatore, che trascenda i limiti e le direttive imposte dalle tecniche tradizionali, per guidare, orientare e coinvolgere completamente il fruitore dell’opera verso un’esperienza soggettiva multisensoriale.
    E’ possibile identificare due differenti percorsi della sperimentazione artistica del gruppo: una fase iniziale, contrassegnata dall’ideazione di pioneristici lavori cinetici e programmati, ed una successiva fase, che ha inzio dal 1964 circa, attraverso la riproduzione di ambienti immersivi ed interattivi.
    Il gruppo T produce opere aperte, in cui il significato artistico della creazione può essere compreso dal fruitore soltanto attraverso un’esperienza di completa partecipazione(l’opera aperta legittima il fruitore ad intervenire e necessita di un intervento da parte dell’osservatore, che diventa agente e fruitore attivo dell’opera stessa); ambienti immersivi e interattivi, finalizzati a modificare le aspettative del fruitore, alterandone la percezione con trucchi illusori ed ingannevoli percezioni, per rendere l’opera totalmente imprevedibile e destare una sensazione di estraniamento e di spaesamento nel fruitore.
    Bibliografia: 
    Meloni L., Gli ambienti del Gruppo T: arte immersiva, arte interattiva, Silvana editoriale, Milano, 2004
    Meloni L., L’opera partecipata, Rubettino, Catanzaro, 2000
    Eco U., Opera aperta, Bompiani, Milano, 1962
    Calvesi M., Le due avanguardie - dal Futurismo alla Pop art, Lerici editori, 1966
    Dorfles G., Il divenire delle arti, Einaudi, Torino, 1967
    Crispolti E., Ricerche dopo l'Informale, Officina Edizioni, Roma 1968.
    Dragone P., L'arte Programmata, a.c. di, in AA. VV., Ricerche visuali dopo il 1945 - Corso di Storia della critica d'arte, prof. Marisa Dalai Emiliani, Unicopli - Cuem, Milano 1978
    Fiorani, E, Leggere i materiali, Lupetti Ed., Milano, 2000
    Webliografia:
    http://www.art-bit.net/community/blog/davide-boriani-arte-cinetica-programmata-interattiva
    http://www.lumen.nu/rekveld/wp/?p=724
    http://www.galerija-rigo.hr/?w=izlozbe&d=arhiva&g=8&c=6&id=57
    http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=File:Gianni_Colombo,_Topoestesia,_1977.jpg
    Bibliografia Immagini:
    http://www.luxflux.net/n18/recensioni3.htm
    http://www.artonweb.it/arteartonweb/articolo5.htm
    http://www.davideboriani.com
    http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Gruppo_T
    http://www.gabrieledevecchi.it/opera.php?idO=3#
    http://www.gabrieledevecchi.it/opera.php?idO=10

  • 4. Max Bill, Pubblicato da Evelyn Grillo a 11/22/2011 04:10:00 PM
  • martedì 22 novembre 2011

    Max Bill


    Max Bill (Winterthur, 1908 - Berlino, 1994)  fu pittore, scultore, architetto, designer; una sorta di “creatore universale”. Difficilmente si riesce a stabilire immediatamente la sua identità! La sua formazione iniziò come argentiere nella scuola di arti applicate di Zurigo. Ma presto, nel 1927, venne attirato da quello straordinario fenomeno culturale che fu il  Bauhaus, nella sede di Dessau. In questo ambito fu allievo di artisti di massimo livello tra cui  Vasily Kandinsky,Paul Klee e Walter Gropius. Dal 1932 al 1936 Bill fu membro del gruppo parigino Abstraction-Création, nella cui galleria espose per la prima volta nel 1933. Nel 1937 partecipò al V CIAM (Congrès Internationaux d'Architecture Moderne). In quell'anno aderì ad Allianz, unione dei moderni artisti svizzeri.  Si mostrava preoccupato di conciliare l’individuale e il sociale e di trovare un comune denominatore alla libertà totale della ricerca artistica e alle possibilità di ogni realizzazione, che si tratti di architettura o di ogni oggetto d’uso. Bill necessitava, in ogni sua opera, una base matematica per qualsiasi forma d’arte. L' opera non deve essere contemplata passivamente perché ha una funzione precisa: essendo generatrice di campi di energia, di ritmi, di sequenze di colori, è concreta. Le figure geometriche che si riavvolgono su se stesse, le variazioni matematiche, spiegano la necessaria interazione dell' osservatore con l' opera d'arte; la percezione visiva è impegnata per un tempo imprecisato e dà origine ad una serie di interpretazioni. La città, lo spazio funzionano perfettamente benchè scomposti in parti differenti, in opere di pittura, scultura e architettura, che fanno parte dell'uno armonico. Tra i principi esponenti dell’arte astratto geometrica, in particolare dei concretisti zurighesi, Max Bill, influì fin dagli anni trenta sugli sviluppi e sul pensiero sistematico-seriale dell’arte concreta, definita dalle sue stesse parole come «l’espressione pura della misura e della legge armonica». Una ricerca dove domina la sua personale immaginazione, divenendo in tal modo il leader carismatico del concretismo internazionale, influenzando il pensiero dei movimenti artistici della metà del Novecento, tra cui l'italiano MAC, Movimento di Arte Concreta, e conseguendo numerosi riconoscimenti internazionali. Tra i molti si possono citare: Gran Premio alla Triennale di Milano (1951), consigliere onorario dell'Unione Internazionale delle Arti Decorative (1973), laurea honoris causa in Ingegneria dell' Università di Stoccarda (1979) e in Scienze Tecniche dell'Istituto Tecnico Superiore Elvetico a Zurigo (1994). Bill ebbe in vita grande successo come designer.  I suoi oggetti furono improntati ai principi del Funzionalismo e fu l'ispiratore di quella tendenza che, fu chiamata la  Scuola di Ulm. Molteplici sono gli oggetti progettati da questo autore, alcuni dei quali sono entrati nel "cult-design" del XX secolo, come il tavolo quadrato-rotondo del 1949/1960,la sedia a tre gambe del 1949,l'orologio da polso del 1956/1962, (produzione Junghans).

    Tavolo rotondo con sedie a tre gambe
    Tavolo quadrato-rotondo
     Il tavolo quadrato-rotondo è stato realizzato nel 1949 in collaborazione con Wohnbedarf. Le gambe sono in legno verniciato nero. Il tavolo può assumere forma rotonda o quadrata grazie alla rotazione del piano. Si tratta di uno dei progetti più importanti di Max Bill e rappresenta la svolta dell'artista verso un'arte più concreta. Il piano è di linoleum, mentre le gambe sono in acero verniciato nero. (Altezza: 69 cm, larghezza: 90 cm, profondità: 90 cm, diametro 128 cm). 
    Sedia a tre gambe
    Bill-Barhocker
      Originariamente Max Bill ideò la sedia a tre gambe nel 1949 per Wohnbedarf. Oggi gli originali sono una rarità molto ricercata. La sedia a tre gambe ha la seduta e lo schienale in compensato sagomato, mentre le gambe sono in faggio naturale. E' stata insignita del riconoscimeto "Die gute Form". (Altezza: 72 cm, larghezza 45 cm, profondità 56 cm, altezzas eduta 44 cm). 
    Sedia a telaio incrociato
      Il progetto della sedia a telaio incrociato da parte dello studioso del Bauhaus prima, e direttore della scuola universitaria d'arte poi, risale al 1951. La peculiarità di questa sedia sono le gambe a telaio incrociato. Il modello è stato insignito di diversi riconoscimenti "Die gute Form" da parte dello "Schweizerischer Werkbund" negli anni '50. La seduta e lo schienale sono in compensato sagomato, mentre le gambe in legno massiccio curvato. (Altezza: 79 cm, larghezza: 48 cm, profondità: 52 cm; altezza seduta: 47 cm).
    Sgabello di Ulm
      Max Bill disegnò lo Sgabello di Ulm in collaborazione con Hans Gugelot per gli studenti della nuova università di Ulm. Leggero, robusto ed estremamente versatile, può essere utilizzato come sgabello, tavolino o scaffale, ma anche come contenitore trasportabile, vassoio o ripiano per tavolo. I tre pannelli sono uniti tra loro tramite tasselli angolari a incastro posti sui bordi dei pannelli stessi. I pannelli sono in abete rosso non verniciato mentre la barra è in faggio. Un listello applicato alla parte inferiore di ciascun pannello funge da protezione contro eventuali scheggiamenti e scalfitture. 
    (Altezza: 44 cm, larghezza: 39,5 cm, profondità: 29,5 cm).

      Un classico tra gli sgabelli da bar è naturalmente il "Bill-Barhocker" di Max Bill. La seduta in pelle nera e le gambe in acciaio cromato conferiscono un'atmosfera da anni '50. Seduta imbottita, telaio metallico cromato. (Altezza: 78 cm, larghezza: 40 cm, profondità: 40 cm).
    "Costruzione di un anello a forma di sfera"
    granito nero, 1965-1966, 39x47,5x39 cm

    "Piramide come ottavo di sfera"
    granito di montorfano, 1965, h 65 cm
























        Link di riferimento testo: http://it.wikipedia.org/wiki/Max_Bill#Bill_designer
     Link di riferimento immagini:
  • 4. Max Bill, Pubblicato da Francesco Longo a 11/29/2011 06:29:00 PM
  • martedì 29 novembre 2011

    E.M. Max BILL


    “Chiamiamo queste opere “ arte concreta” poiché non ci sono apporti esterni, dei fenomeni normali senza alcuna trasformazione”. Max Bill
    Pittore, architetto, scultore, Max Bill é nato nel 1908 a Winterthur (Svizzera). Dal 1924 al 1927 è allievo alla Scuola dei Mestieri d’Arte di Zurigo (Kunstgewerbeschule) . E’ allievo del Bauhaus a Dessau, frequenta gli atelier del metallo, di teatro, di pittura e di architettura, ne ricava una grande conoscenza dei materiali, la convinzione della necessità logica di una sintesi delle arti che si articoli intorno all’architettura, poiché le arti hanno come funzione quella di aiutare a costruire uno spazio appropriato alla vita dell’uomo ed alla sua armonia.
    "Ritmo orizzontale-verticale-diagonale", 1942
    "Limited and unlimited", 1947
    "La pittura e la scultura sono senza equivoci, la loro utilità risiede nella loro utilità intellettuale e spirituale." Max Bill
    Negli anni ’40 fonda la rivista “Abstrakt-Konkret” e tiene dei corsi a Zurigo, poi a Darmstadt. Concepisce e realizza gli edifici dell’”Università de la Forme” (Hochschule fûr Gestaltung) ad Ulm, ne sarà prima uno dei direttori, poi rettore. Max Bill fonda la sua arte sulla linea dritta e sull’assemblaggio di piani geometrici in proporzioni strettamente calcolate. La poliedricità e la forza del pensiero teorico ne fecero il leader carismatico del concretismo internazionale, influenzando il pensiero dei movimenti artistici della metà del Novecento, tra cui l'italiano MAC, Movimento di Arte Concreta".Il nucleo di questa sua poliedricità si forma con la conoscenza delle opere costruttiviste e la frequentazione con grandi maestri quali Paul Klee, Wassily Kandinsky e Josef Albers. All'attività artistica Max Bill affiancò il pensiero teorico, l'impegno politico e divulgativo e l'insegnamento: fu, lo ricordiamo, co-fondatore della Hochschule für Gestaltung a Ulm e membro di diversi gruppi e associazioni di artisti, architetti e designer a livello europeo.La sua produzione, sottolineano i critici d'arte, è coerente in tutte le sue forme con i principi dell'Arte Concreta, definita dalle sue stesse parole come "l'espressione pura della misura e della legge armonica".
    "Quella di Max Bill è una ricerca dove domina la personale immaginazione dell'artista e che, nel perseguimento dei principi essenziali della creazione, lo avvicina al metodo matematico; le sue opere sono caratterizzate dalle forme geometriche pure ed essenziali e dalla ricerca sul colore". T.Buchsteiner e O. Letze
    Nel campo dell’architettura le sue produzioni sono legate soprattutto ai suoi atelier e residenze privati, tra cui la sua casa-atelier a Zumikon, vicino a Zurigo, abitata oggi dalla seconda moglie del’artista. La sua opera più celebre è il complesso di edifici l’HfG di Ulm, che sembra in parte ricalcare un progetto di Hannes Meyer a Bernau, la scuola della Confederazione Tedesca dei Sindacati operai. A Losanna, realizza un teatro, inizialmente concepito come temporaneo, e successivamente mai smontato. Con numerose modificazioni il teatro si trova ancora oggi in uno stupendo parco sulle rive del Lago di Ginevra. wall clock, 1957
    lampada novelectric, 1951
    orologio Junghans, 1962
    macchina per scrivere Patria, 1950
    "Max Bill per me è stato entrambe le cose: homo ludens e homo faber, aveva una leggerezza che creava forme e strutture dall'entropia del processo creativo. La creatività era collegata alla speranza.
    Fino alla vecchiaia fu instancabilmente curioso e dotato di forza giovanile". J. Estermann Nel campo del design, il celebre sgabello di Ulm (che può essere usato sia come seduta che come simpatico porta libri, in sostituzione di una borsa o di uno zaino) progettato assieme ad Hans Gugelot, è l’opera più conosciuta, ma si cimenta anche nella realizzazione di orologi, una macchina da scrivere, maniglie e altri oggetti diventati dei classici della storia del design. La sua produzione è coerente in tutte le sue forme con i principi dell'Arte Concreta, definita dalle sue stesse parole come "l'espressione pura della misura e della legge armonica". Una ricerca dove domina la personale immaginazione dell'artista e che, nel perseguimento dei principi essenziali della creazione, lo avvicina al metodo matematico; le sue opere, tanto in pittura quanto in scultura e design, sono caratterizzate dalle forme geometriche pure ed essenziali e dalla ricerca sul colore.
    horgen glarus (In compensato curvato con braccioli,seduta originale in vipla rigata) , 1949_1951

    ulmer hocker, 1954
    tavolo e sedie tre piedi, 1949
    Riferimenti sitografici per testo ed immagini :
  • 4. Max Bill, Pubblicato da Giusy Pesce Design a 11/21/2011 02:37:00 PM
  • lunedì 21 novembre 2011


    E.M. Max Bill


    Ritratto di M. Bill
    ''Nel 1959, viene pubblicata una piccola monografia su di me (...), con contributi di Max Bill...''
    (Enzo MARI, 25 Modi per piantare un chiodo pag 42, edizione MONDADORI Marzo 2011)



    Max Bill e l'Arte concreta.
    Max Bill è un artista della riflessione, della logica, del raziocinio e della sensibilità estetica, non solo scultore, pittore, grafico, scenografo, designer, architetto ma anche e sopratutto un teorico. Bill ha sperimentato un' arte espressa attraverso forme geometriche primarie e studi sul colore, tra estetica e matematica, ricercando «l'espressione pura della misura e della legge armonica». Trattasi quest'ultima, di ''Arte Concreta'' che nel filone geometrico si distingue appunto per le forme essenziali, esse danno vita a composizioni che non sono regolate da processi matematici ma da processi puramente logici.





    Max Bill: ''15 Variazioni su un tema''
    ''15 variazioni su un Tema'', M. Bill - 1935/36
    ''15 Variazioni su un tema'' è il titolo di una serie di grafiche sistematicamente sviluppate e commentate, pubblicate da M. Bill tra il 1936 e il 1938. Egli afferma che per comprendere al meglio il senso di una costruzione e di un'opera d'arte bisognerebbe almeno in parte, intuire quali metodi stiano alla base del loro sviluppo. ''Le 15 variazioni su un tema'' sono precedute da un breve commento proprio per dare un'idea complessiva di un insieme di questi metodi. In tal modo allo spettatore viene fornita la possibilità di verificare, attraverso gli esempi, i diversi risultati. Nel commento, infatti, vengono spiegate le differenti correlazioni che si possono rintracciare nel tema e nelle 15 variazioni, e che legano queste ultime tra loro. All'interno di questi confini tanto ristretti sono presenti innumerevoli possibilità di variazioni. Un unico tema-base può portare a 15 strutture completamente dissimili tra loro, per completezza, va aggiunto che  possibile sviluppare altre variazioni sullo stesso tema compresi capovolgimenti, ampliamenti, mescolanze, altri usi del colore... Questo fatto è prova immediata di come l'arte concreta racchiuda infinite possibilità, sviluppate esclusivamente a partire dalla loro realtà interna, senza tener conto di alcun sistema schematico di proporzioni. 










    Max Bill: La scomposizione degli oggetti
    Famiglia di 5 mezze sfere (granito nero), M.Bill - 1965/66 
    ''4 Mezzi cubi'', M.Bill - 1966
    Il metodo di trasformare un' idea base, un tema, in forme finali espressive, definite, multiformi, spogliandole e rivestendole in modo alterno, si riversa anche nell'approccio che M. Bill ha con i volumi. La sete di novità di Bill penetra dentro gli oggetti, li scompone e ricerca il potenziale delle loro forze interne. Gli oggetti di M. Bill sono opere univoche e logiche tali da risultare verificabili a chi li guarda, al posto di una possibilità di significato, entra in gioco la possibilità della variante. Partendo da volumi semplici quali il cubo e la sfera, Bill fa le prime deduzioni tagliandoli a metà: per il cubo ci sono molte e infinite possibilità, premesso che il taglio si effettui nel punto di mezzo; per la sfera una soltanto: ogni taglio che passa dal centro produce due semisfere identiche. Per Bill, si tratta di corpi senza tempo con caratteristiche estetiche intrinseche il che vuoldire: la cosa nascosta è prima di tutto la cosa più visibile.

    La Continuità, (formazione di uno
    spazio infinito all'intern0 di un movimento
    infinito); M.Bill - 1946/82
    (rame dorato h: 41cm)
    Il concetto di nastro infinito
    Bill si dedicò per 50 anni a un gruppo di opere basate sul concetto di nastro infinito. La prima versione risale agli inizi della sua attività e l'ultima invece la portò a termine nel 1986: ''La  Continuità'', posta davanti alla Deutsche Bank di Francoforte. E' lo stesso Bill a scrivere:''Mi si assegnò il compito di progettare un elemento dinamico e composto da un istallazione statica fatta di fili metallici incandescenti, esposti in una casa modello fornita al suo interno di ogni tipo di impianti elettrici''. 
    Concetto del nastro di Moebius
    Non fu dalla matematica, ma da un esperimento, che Bill arrivò al nastro di Moebius (una delle creazioni matematiche più entusiasmanti di tutti i tempi, esso è un esempio di superficie non orientabile e di superficie rigata). Ma anche se a livello teorico il nastro di Bill era identico a quello di Moebius, in realtà egli aveva in mente un concetto diverso che si allontanava dal carattere scientifico - matematico e si avvicinava a quello puramente estetico. Le superfici di Bill hanno caratteristiche tanto disorientanti quanto affascinanti, ma tuttavia sono composte da una superficie precisa e definita. Le sue opere dunque, risultano essere espressioni visibili di una mutata comprensione del mondo, si tratta di una lettura che penetra nella struttura interna e nel significato intrinseco degli oggetti.


    Max Bill : La pittura


     
     (Un' esempio di serigrafia, Max Bill 1967)


    Il tema delle varianti torna anche nella pittura di Bill: l'organizzazione interna ai suoi quadri doveva rimanere leggibile, ma al tempo stesso permettere la possibilità di una variante, così da potere essere recepita e appresa dall'osservatore, il che vuol dire recepita al di là dell'intelletto e della psiche, le opere infatti dimostrano la loro funzionalità come ''oggetti preposti a uso mentale''. Un quadro dunque veniva equiparato, per la sua funzionalità, a un oggetto di uso comune, ma la cosa più interessante era il legame che accomunava sensibilmente le due cose, ovvero ''una progettazione d'ambiente estetica e pratica per l'uomo contemporaneo''. Max Bill fu un artista di punta che ebbe un notevole riscontro e fu uno dei fondatori, se non primo animatore, di quella corrente conosciuta come Astrattismo concreto. Come pittore, dopo un esordio che toccò diverse correnti legate al Bauhaus, soprattutto a Paul Klee, ebbe un netto interesse verso le composizioni geometriche astratte e le interazioni di colore. Dalle composizioni degli anni quaranta, chiaramente ancorate a De Stijl, Bill si approssima al suo stile personale, ricercando attraverso tentativi a volte divergenti. Di questo periodo si rammenta un quadro come "Illimitato e limitato" del 1947, realizzato con tecnica a spruzzo, assai differente da quelle successive. È sul finire degli anni cinquanta che la sua pittura giunse ad un punto di feconda creatività. La sua pittura si espresse in piccole e grandi tele campite da superfici geometriche semplici, rettangoli e triangoli, con giustapposizione di colori primari. Bill fu uno sperimentatore instancabile di composizioni che, al di la di una visione superficiale, dimostrano la infinta versatilità dell'arte astratta. La tecnica pittorica preferita fu una stesura a spatola. Ciò per ottenere superfici lisce, che nel caso di Bill giungono a tale estrema raffinatezza tecnica dove la fattura a mano si scorge appena. La sua pittura fu particolarmente adatta ad esprimersi anche attraverso la serigrafia che Max Bill produsse in notevole quantità.

    Bibliografia/ Riferimenti:
    Buchsteiner/Letze; Max Bill, pittore, scultore, architetto, designer - Edizione ELECTA 2005 (pag 124 - 127 - 218)

  • 7. Bruno Munari, libri per bambini, dal 1938/ Bruno Munari, libri per bambini: Libri Illeggibili e Prelibri, Pubblicato da Mariagrazia Cotroneo a 11/29/2011 10:02:00 AM
  • martedì 29 novembre 2011


    Bruno Munari, libri per bambini: Libri Illeggibili e Prelibri

    Libri Illeggibili
    "Conservare dentro di sé l’ infanzia per tutta la vita, vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare
    Bruno Munari
    Questa frase, che Bruno Munari ha voluto all’inizio della sua mostra antologica a Milano nel 1986, sintetizza la sua filosofia di vita che tanto lo avvicina a quella del designer Enzo Mari.
    Fin da ragazzo - racconta Munari - sono stato uno sperimentatore..., curioso di vedere cosa si poteva fare con una cosa, oltre a quello che si fa normalmente”. “Durante l’infanzia – scrive l’artista – siamo in quello stato che gli orientali definiscono Zen: la conoscenza della realtà che ci circonda avviene istintivamente mediante quelle attività che gli adulti chiamano gioco. Tutti i ricettori sensoriali sono aperti per ricevere dati: guardare, toccare, sentire i sapori, il caldo, il freddo, il peso e la leggerezza, il morbido e il duro, il ruvido e il liscio, i colori, le forme, le distanze, la luce, il buio, il suono e il silenzio … tutto è nuovo, tutto è da imparare e il gioco favorisce la memorizzazione”.
    Bruno Munari
    "Libro Illeggibile MN 1", Bruno Munari, Corraini, Mantova, 1991
    Come B. Munari anche E. Mari attribuisce al gioco un ruolo decisivo nello sviluppo dell’ intelligenza di ogni bambino, dedicando all’età dell’infanzia buona parte della sua ricerca. Nel tentativo di sperimentare nuove forme del linguaggio visivo e del materiale editoriale, B. Munari nel 1949 progetta la sua serie di “Libri Illeggibili”, dove il libro viene concepito come oggetto, indipendentemente dalle parole stampate. Sono definiti illeggibili, perché privi di testo, l’ attenzione dell’autore, infatti, è rivolta esclusivamente a quegli elementi che normalmente vengono trascurati: tipologia di carta, rilegatura, colori, spazi bianchi, margini e formati.
    Ecco dunque che le sue nuove opere si compongono armonicamente di pagine con tagli e formati diversi che si incrociano per comporne altri, carte semitrasparenti, veline, paraffinate, plastificate, vegetali, sintetiche, si alternano per offrire la più completa esperienza tattile. Nei “libri illeggibili” non c’è ordine neppure sequenza, possono essere “letti” a partire da metà, si può liberamente tornare indietro o andare avanti.Una vera e propria rivoluzione che riconsidera l’importanza della percezione del libro e che oltre a divertire, stimola ad essere creativi. Le uniche scritte compaiono sulla copertina grigio chiaro: Libro illeggibile MN 1 di Bruno Munari Edito da Maurizio Corraini – Mantova; è stato pubblicato nel 1991, è di formato quadrato con i lati che misurano 10 centimetri. Le 32 pagine sono colorate ‐ arancio, giallo, verde, azzurro ‐ di dimensioni differenti e sembrano legate in modo del tutto casuale da una sottile cordicella.
    I Prelibri
    Proprio da questi esperimenti di comunicazione nasce una collezione rivolta ai bambini, che veicola le prime esperienze sensoriali e l’apprendere attraverso libretti dalle mille sorprese. Come afferma Bruno Munari : “La cultura è fatta di sorprese, cioè di quello che prima non si sapeva, e bisogna essere pronti a riceverle …” per questo la serie dei così detti “prelibri”, prodotta da Danese nel 1980 a Milano, si carica di diverse informazioni (di carattere naturale, geometrico, dinamico ecc.) espresse in forme libere che stimolano l’individuo a immaginare e fantasticare. Munari ha stabilito una via alternativa alla formazione dei bambini ed al pari del collega Enzo Mari, ha posto le linee guida di un metodo progettuale efficace tuttora, facendo della semplicità che desta stupore il suo cavallo di battaglia. Ancora dopo cento anni, il lavoro di Munari continua infatti ad essere inesauribile fonte di ispirazione per i designer di oggi, e la sua incredibile produzione di libri-gioco uno strumento insostituibile per l’apprendimento dei più piccoli. Dodici piccoli libri di carta, di cartoncino, di cartone, di legno, di panno, di panno spugna, di friselina, di plastica trasparente; ognuno rilegato in maniera diversa. Dal retro di copertina dei Prelibri, la migliore descrizione che possa essere data di questo incredibile strumento-libro-gioco. Ogni libro una sorpresa, un colore, una forma, un materiale, ma soprattutto, neanche una parola. Poesia per gli occhi e per le dita.Creati da Bruno Munari ed editi per la prima volta nel 1980, i Prelibri sono dodici libretti, raccolti all’interno di un contenitore-scrigno, realizzati interamente a mano e perciò unici pur nella loro serialità. Ognuno è realizzato utilizzando un materiale diverso e hanno legature diverse, alcuni presentano fustelle, altri applicazioni di elementi curiosi, altri ancora sono solo forme e colori. Ogni libro è double-face, ed estraendolo dalla sua taschina nello scrigno non si sa mai cosa ci si possa trovare dentro. I Prelibri sono un oggetto prezioso, come se ne trovano sempre più raramente, progettato come stimolo per la curiosità e la manualità dei bambini, ma anche di noi adulti che non vogliamo smettere di stupirci.
    In ordine progressivo i libri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
    Il Libro 1 è un libro di cartone pesante, rilegato con dello spago. Aprendolo un filo rosso di lana lo attraversa tutto. Attraverso piccoli fori il filo corre da una pagina all’altra, su e giù, per poi tornare all’inizio.
    Nel secondo libro c’è un signore che fa ginnastica. Parte stando in piedi, si slancia di lato e fa una capriola, per poi ritrovarsi a testa in giù appoggiato sulle mani. Sfogliando il libro al contrario c’è lo stesso signore che invece fa una buffa caduta.
    Il terzo libro è la storia di una bolla. Una piccola bolla azzurra che diventa sempre più grande fino ad ingoiare tutta la pagina. Quando tutto è diventato azzurro, nasce una nuova piccola bolla bianca che diventa sempre più grande fino ad ingoiare tutto di nuovo e poi si ricomincia da capo.
    Il Libro 4 è colorato. Le pagine sono cartoncini di diverso spessore e colore.
    Il Libro 5 è verde. Dentro ci sono delle formiche che si muovono e si affaccendano dietro ai loro lavori, ci sono anche dei buchi dai quali si possono vedere le formiche che si muovono da una stanza all' altra del formicaio.
    Nel sesto libro ci sono delle forme colorate, gialle, blu e rosse. Tra una forma e l’altra c’è una pagina di plastica trasparente, colorata anche lei. Se si gira la pagina da una forma all’altra si possono vedere i colori cambiare.
    Il settimo libro sembra fatto di spugna, è morbido e le pagine sono spesse. Il Libro 8 è ancora più morbido. È fatto di una stoffa color rosa acceso e con all’interno un bottone e un’asola, così che si possono abbottonare le pagine tra di loro. Il nono libro è fatto di tre tavolette di legno, legate con dello spago. Su ognuna ci sono delle scanalature che corrono in direzioni diverse. Il legno è liscio e profumato.
    Il Libro 10 ha delle pagine di plastica rigida, è dentro è tutto grigio di nebbia. Si vede e non si vede, ma guardando bene è possibile trovare un gatto che dà la caccia ad un topino
    L’undicesimo libro è fatto di plastica morbida e trasparente. Su ogni pagina c’è un solo pallino giallo, ma guardandolo da fuori puoi vedere che tutti i pallini gialli si dispongono in un cerchio, come a formare le ore di un orologio.
    L’ultimo libro è fatto di stoffa e cartoncino e dento ci sono il giorno e la notte e dei buchi per vedere attraverso. Girando le pagine a volte la notte ingoia il giorno, a volte il giorno vince sul buio. E nel buio della notte, nel centro del libro, spunta un ciuffo di pelo morbido. Che sia la coda di un gatto?
    Dunque quale il libro di ottica, quale quello di filosofia, di storia naturale? A noi scoprirlo e alla nostra immaginazione.
    Fonti:
    http://www.blogger.com/www.rossellagrenci.com/2010/08/i-libri-per-bambini-secondo-munari/ http://digilander.libero.it/sitographics/imagini_munari.htmhttp://www.arapacis.it/didattica/didattica_per_tutti/laboratori_metodo_bruno_munari_r_per_le_famiglie http://www.arapacis.it/didattica/didattica_per_tutti/laboratori_metodo_bruno_munari_r_per_le_famiglie http://www.officina-creativa.net/articoli/i-prelibri-di-bruno-munari.html http://www.railibro.rai.it/articoli.asp?id=82 http://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=12473 http://www.spaziouno.org/2009/11/raccontando-munari-2-libri-illeggibili/http://www.rossellagrenci.com/2010/11/11294/ http://www.rossellagrenci.com/2010/08/la-pedagogia-di-bruno-munari/ http://www.mondointasca.org/articolo.php?ida=8422&pag=3 http://www.sed.beniculturali.it/index.php?it/183/bruno-munari-la-polisensorialit-e-i-bambini Fonti immagini: http://www.corraini.it/scheda_libro.php?id=35 http://www.viveremarche.it/index.php?page=articolo&articolo_id=156535 http://www.spaziouno.org/2009/11/raccontando-munari-2-libri-illeggibili/

  • 7. Bruno Munari, Pubblicato da Marco Lombardo a 11/21/2011 04:10:00 PM
  • lunedì 21 novembre 2011


    E.M. Bruno Munari

    "Nel 1959, viene pubblicata una piccola monografia su di me (Enzo Mari, edita da Muggianti) con contributi di Max Bill e Bruno Munari." "In Munari, invece, avevo individuato l'unico artista e designer (si intitolava così un suo libro famoso) che fosse in sintonia con tutto ciò che pensavo dell'arte e del progetto."
    Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011,1° ediz., pg. 42
    Bruno Munari (Milano 1907 – 1998). È stato uno dei massimi protagonisti dell'arte, del design e della grafica del XX secolo, dando contributi fondamentali in diversi campi dell'espressione visiva (pittura, scultura, cinematografia, design industriale, grafica) e non visiva (scrittura, poesia, didattica) con una ricerca poliedrica sul tema del movimento, della luce e dello sviluppo della creatività e della fantasia nell'infanzia attraverso il gioco. Bruno Munari è figura leonardesca tra le più importanti del novecento italiano. Assieme allo spaziale Lucio Fontana, Bruno Munari il perfettissimo domina la scena milanese degli anni cinquanta-sessanta; sono gli anni del boom economico in cui nasce la figura dell’artista operatore-visivo che diventa consulente aziendale e che contribuisce attivamente alla rinascita industriale italiana del dopoguerra. Munari partecipa giovanissimo al movimento futurista, dal quale si distacca con senso di levità ed umorismo, inventando la macchina aerea (1930), primo mobile nella storia dell'arte, e le macchine inutili (1933). Verso la fine degli anni ‘40 fonda il MAC (Movimento Arte Concreta) che funge da coalizzatore delle istanze astrattiste italiane prospettando una sintesi delle arti, in grado di affiancare alla pittura tradizionale nuovi strumenti di comunicazione ed in grado di dimostrare agli industriali la possibilità di una convergenza tra arte e tecnica. Nel 1947 realizza Concavo-convesso, una delle prime installazioni nella storia dell'arte, quasi coeva, benché precedente, all'ambiente nero che Lucio Fontana presenta nel 1949 alla Galleria Naviglio di Milano. E' il segno evidente che la problematica di un'arte che si fa ambiente e in cui il fruitore è sollecitato, non solo mentalmente, ma in modo ormai multi-sensoriale, è ormai matura. Nel 1950 realizza la pittura proiettata attraverso composizioni astratte racchiuse tra i vetrini delle diapositive e scompone la luce grazie all'uso del filtro Polaroid realizzando nel 1952 la pittura polarizzata, che presenta al MoMA nel 1954 con la mostra Munari's Slides. È considerato uno dei principali protagonisti dell’arte programmata e cinetica, ma sfugge per la molteplicità delle sue attività e per la sua grande ed intensa creatività ad ogni definizione, ad ogni catalogazione. Astratto 1949 “Il compito dell'artista è quello di comunicare agli altri uomini un messaggio poetico, espresso con forme, con colori, a due o a più dimensioni, con movimento; senza preoccuparsi a priori se quello che verrà fuori sarà pittura o scultura o un'altra cosa ancora (come le macchine inutili o le proiezioni) purché contenga questo messaggio e purché questo messaggio parli, si faccia capire da un minimo di persone.”
    Bruno MUNARI, 1957, Pittura italiana del dopoguerra (1945-1957), di Tristan Sauvage, Schwarz Ed., Milano, 1957
    Nel 1926 Bruno Munari non ancora ventenne arriva a Milano e vienepresentato a Marinetti e Prampolini dal libraio Escodamé (Lescovic) ed introdotto nel gruppo futurista milanese. Il periodo giovanile, di impianto futurista, di Munari è ancora oggi da indagare nel suo complesso, sia per le influenze che certe idee ebbero sul Munari più maturo, sia perché la sua presenza nel cosiddetto secondo futurismo non fu certo marginale. Munari, da Marinetti ritenuto il giovane più brillante del gruppo milanese, e per questo stimolato ad avere un'idea creativa nuova ogni giorno, si distingue per l'originalità e la maturità con la quale riconosce i limiti stessi del movimento, nonché per la capacità di sperimentare, in massima libertà, materiali ed idee, realizzando opere che difficilmente possono essere definite scolastiche. Molti sono i temi che Munari sviluppa in questi anni, spesso in modo sincronico, e che andrebbero indagati adeguatamente, riportandoli a quegli sviluppi futuri che hanno reso così importante il percorso artistico di Munari.

    Elenchiamo alcuni di questi temi:

    -il dinamismo e lo studio del fluire di segni e forme che spinge Munari verso un'idea di arte mobile

    periodo futurista: studi sul movimento (disegni, pitture), installazioni di macchine inutili, da tavolo, da parete, da terrazzo, da giardino

    lavori posteriori: realizzazione di fontane, installazione di concavo-convesso, ambienti di luce, scomposizione della luce con filtro polaroid, filipesi

    -l'importanza della macchina

    periodo futurista: macchina aerea, macchina inutile

    lavori posteriori: macchine aritmiche, realizzazioni cinetiche, uso paradossale di macchine fotocopiatrici, utilizzo di componenti tecnologiche in qualità di fossili del duemila

    -il tattilismo e l'importanza di uno stimolo plurisensoriale nell'arte

    periodo futurista: composizioni polimateriche, tavole tattili

    lavori posteriori: sensitive, messaggi tattili per non vedenti, laboratori liberatori per adulti, laboratori pedagogici per bambini

    -la pittura cosmica quale paradigma di un mondo favoloso, poetico, spirituale

    periodo futurista: opere astratte, fotogrammi, collage, oggetti metafisici

    lavori posteriori: oggetti trovati, ricostruzione teoriche di oggetti immaginari, sassi, il mare come artigiano gli interventi grafici, scenografici e nelle arti decorative (ritroveremo, sviluppate, molte delle invenzioni di questo periodo nelle successive attività professionali di grafica editoriale e di design industriale)

    Bruno Munari arriva a Milano nel 1926, ma del giovane futurista ci rimangono poche opere, qualche disegno e qualche fotografia. Sebbene gli esordi sono più che promettenti, ed il futurismo è una delle correnti europee più importanti del momento, il vero inizio della lunga avventura artistica di Bruno Munari è però da spostare al 1930. Nel 1930 Bruno Munari ha solo 22 anni, frequenta gli ambienti futuristi, ma si accorge abbastanza presto di non essere completamente in sintonia con la retorica del movimento, talvolta roboante, e di cui ne coglie, con umorismo, anche i limiti intrinseci, logici. Per Munari è un controsenso esaltare la velocità e la dinamicità restando nei limiti angusti di una pittura bi-dimensionale. La pittura astratta con le sue forme geometriche, i suoi spazi colorati, sono per lui delle nature morte di forme geometriche dipinte in modo verista. Allo stesso modo le pitture di Kandinskij, che tanta influenza ebbero su di lui, sono ancora circoscritte ad un descrizione verista di un mondo reale osservabile non ad occhio nudo, ma per mezzo dei moderni mezzi di osservazione scientifica, come il microscopio.

    La prima realizzazione di forme geometriche libere nell'aria è la macchina aerea del 1930 che possiamo osservare in questa rara fotografia dello studio di Munari. Si tratta della macchina aerea originale che andò distrutta durante un trasloco e che Munari ripropose solo nel 1971 in un multiplo d'arte a tiratura 10 esemplari per le edizioni Danese di Milano.
    L'oggetto costruito in legno e metallo, era alto 1 metro e 80, largo circa 60 x 30. Le sfere erano rosse, meno una piccola che era nera, tutte le bacchette erano bianche. Appeso ad una corda al soffitto di un ambiente, si muoveva lentamente, spinto da qualche corrente d'aria.


    Negli anni trenta Munari lavora attorno all'idea di strutture in tensione, sculture astratte in cuuno scheletrostrutturale viene messo in tensione da fili. Pur trattandosi di un'idea e di forme astratte innovative (tridimensionali) la produzione di Munari, almeno quella fino ad oggi documentata, è nello specifico molto limitata, rara e pocoesposta.
    Benché spesso si pensi il contrario la produzione d'arte di Munari è in valori assoluti numericamente molto consistente, anche se in alcuni casi, per assenza di committenti o collezionisti, è forzatamente limitata a pochi progetti o a poche opere. Negli anni '30 in Italia il mercato dell'arte è quasi inconsistente e gli artisti astrattisti in generale non godono di attenzioni favorevoli. L'esatto contrario di quanto accade oggi, in cui le ripetute attenzioni mediatiche trasformano giovani artisti in vere star mondiali che organizzano la loro produzione, in funzione delle richieste di mercato e della creazione del valore, in vere e proprie factory. L'artista hyped di oggi, proprio perché finisce per assomigliare sempre di più ad un complesso prodotto finanziario, può concedersi il lusso di progettare e firmare una produzione quantitativamente imponente. Negli anni '30 invece molte idee innovative hanno vita dura, rimangono sotto forma di progetto o di disegno, vengono esposte brevemente, quando possibile, quasi sempre per documentazione storica, e giacciono nei cassetti degli studi degli artisti per anni.


    Bruno Munari esplora sistematicamente all'interno del suo percorso artistico gli effetti di luci, ombre e movimento, in modo particolare in rapporto allo spazio. A partire dal 1950 Bruno Munari propone degli ambienti di luce in cui realizza una pittura proiettata grazie all'utilizzo di materiale vario, fissato tra i vetrini di una diapositiva.


    Bruno Munari tra la fine degli anni quaranta e i primi anni cinquanta forse raggiunge il suo punto massimo in termini di creatività: macchine inutili, concavo-convesso, proiezioni di pitture, macchine aritmiche, oggetti-trovati, pitture negativo-positive, astratte e segniche. In questo mix, all'apparenza incoerente di stimoli, si distinguono però in modo chiaro alcune direzioni di ricerca. La macchina, sia quella aerea come quella inutile, costituita da elementi pittorici in movimento nello spazio, si trasforma nel 1947, tramite un oggetto a forma continua denominato concavo-convesso, in una nuova esperienza di ambiente e di installazione. Poi a partire dal 1951 la macchina diventa aritmica, non più sottoposta solo alla casualità degli spostamenti lievi e graduali provocati da minimi soffi d'aria, ma sollecitata con forza dalla disarmonia e dalla aritmia, opportunamente introdotte nella composizione grazie al funzionamento irregolare di meccanismi a molla riciclati, resi ormai imperfetti dal troppo utilizzo o dalla loro consumazione.
    L'armonia, in pieno spirito zen, viene rotta, anzi rafforzata, dal suo esatto contrario, l'aritmia. L'idea di ambiente però non è solo legata a quella che potrebbe essere la prima installazione nella storia dell'arte (il già citato concavo-convesso del 1947), ma anche alla proiezioni di materiale di vario tipo, come cellophan o materiale plastico trasparente o semi-trasparente, utilizzati in composizioni pittoriche, proiettate attraverso dei semplici vetrini da diapositiva.
    L'arte di Munari, grazie alla luce ed alla proiezione, espone lo spettatore ad una nuova esperienza di ambiente (in interni ma anche in esterni, per esempio sulle facciate di palazzi). Ma in quegli anni Munari si dedica anche ad una strana, poco nota e mai abbastanza considerata, mostra di oggetti trovati, in cui espone sassi, radici, valvole rotte esposte come reperti fossili (di un passato tecnologico a noi vicino, ma allo stesso tempo già superato), brandelli di manifesti strappati, legni ed altro ancora. Infine, quasi insaziabile di nuove esperienze, dopo aver fondato il M.A.C., si dedica contemporaneamente anche alla pittura con tre differenti cicli di opere, in apparenza diversi, ma molto simili e persino complementari: le famose pitture negativi-positive (alle quali abbiamo dedicato una scheda apposita), le pitture astratte e le pitture segniche (definite da Munari simultaneità di opposti) che qui saranno oggetto di alcune brevi riflessioni.

    1 astratto, 1950 tempera su carta 2 un sasso impassibile trovato da Munari 3 negativo positivo in 3 dimensioni, 1951 sulla parete della Galleria Bergamini il negativo-positivo giallo-rosso oggi nella collezione IntesaSanpaolo 5 Negativo-positivo a 3 dimensioni, scultura motorizzata in ferro, 8 esemplari, 1955-1990 Galleria Valmore Vicenza 6 Bruno Munari 1950-1987, negativo positivo Link di riferimento:
    http://www.munart.org/index.php?p=1
    http://www.munart.org/index.php?p=6
    http://www.munart.org/index.php?p=8
    http://www.munart.org/index.php?p=11
    http://www.munart.org/index.php?p=15
    http://www.munart.org/index.php?p=16
    http://www.munart.org/index.php?p=17
    http://www.munart.org/index.php?p=19http://www.munart.org/index.php?p=12http://www.munart.org/index.php?p=3http://www.munart.org/index.php?p=14

  • 7. Bruno Munari, libri per bambini, dal 1938/Pubblicato da A. Azzurra Micalizzi a 11/25/2011 06:00:00 PM
  • venerdì 25 novembre 2011


    E.M. Munari , Libri per bambini, dal 1938

    Prof.ssa ho riscritto il post. Non so se va bene o se sono uscita ancora fuori tema. Ho cercato di parlare solo dei libri e del lavoro di Munari. Lo pubblico cmq solo perché così me lo può correggere o dirmi se ancora non va.
    grazie 
    ok!
    "In Munari, invece, avevo individuato l'unico artista e designer che fosse in sintonia con tutto ciò che pensavo dell'arte e del progetto.
    Aveva circa l'età di mio padre ed era curioso di tutto, come me: si occupava di libri per bambini (i più belli , pubblicati già nel 1938)..."
    Enzo Mari, 25 modi di piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz. , cap.V. PAG.42


    Bruno Munari (1907-1998) è stato senza dubbio il più eclettico artista-designer italiano.
    Sin dagli esordi negli anni ’30 con il Secondo Futurismo ha sempre dedicato la propria attività creativa alla sperimentazione, declinandola in ogni sua forma e affiancandole un’attenzione particolare per il mondo dei bambini e dei loro giochi.
    Munari è stato anche un grande progettista di grafica, libri, copertine. Dal 1939 al 1945 lavorò come grafico presso l’editore Mondadori, e come art director della rivista Tempo, cominciando contemporaneamente a scrivere libri per l’infanzia, inizialmente pensati per il figlio Alberto.
    Forse l’aspetto che più colpisce in Munari è il suo modo di comprendere l’informale e di trasformarlo; Munari nei suoi libri parla molte volte di textures, le pitture informali che vede attorno a sé e che dominano negli anni ’50 il mercato dell’arte e suggerisce una specie di ironico fai da te, insegnando nei libri, nelle sperimentazioni, nei laboratori, a costruire le textures, a farsi un informale casalingo, un luogo però che non si lega alle filosofie dell’esistenzialismo ma semmai ad Arnheim e agli altri teorici della percezione visiva.
    Il primo lavoro editoriale di Munari è costituito dalle illustrazioni di Aquilotto implume – un romanzo di avventura per ragazzi, scritto da Giuseppe Romeo Toscano per avvicinare i giovani alla fede littoria – pubblicato nel 1929.

    Aquilotto implume . Avventure di terra e di cielo di Toscano Romeo Giuseppe
    Romanzo per ragazzi
    Milano, Casa Editrice Gianbattista Rossi
    Stampato da Off. Grafiche Schor S.A.
    Senza data ma 1929/30
    Copertina a colori e 4 ill. b/n di Munari
    Con 4 carte geografiche
    A partire dagli anni ’40 Munari si dedica con maggiore continuità ai libri per bambini. La sua produzione editoriale si estende così per settant'anni, dal 1929 al 1998, e comprende libri veri e propri e libri-opuscolo pubblicitari per varie industrie, copertine, sopraccoperte, illustrazioni, fotografie.
    Lavorerà in tutta la sua carriera per tre importanti case editrici italiane: Enaudi, Mondadori e Corradini.
    Quando hai cominciato a pensare a questo progetto?” “Quando è nato mio figlio, nel 1940. Così, dal ’43 al ’45 ho cercato di capire la sua natura, senza imporre quel che io credevo dovesse fare. È per quello che ora è contento e ha successo. È a questa sperimentazione in famiglia che devo anche i progetti e le idee dei libri per bambini. C’era tutta una zona inesplorata, nella quale ci sarebbe stato bene un libro anche per bambini che non sanno leggere – come i Prelibri che poi ho fatto: vedevo i tipici libri per l’infanzia, tutto testo, con poche illustrazioni al tratto, perché costava meno … Invece, con tutte le possibilità che offre l’industria tipografica – pieghe, carte, tagli, fori, fustellature – c’erano tanti altri modi di comunicare.Ecco, il libro è fatto anche di comunicazione visiva, di comunicazione attraverso i sensi, oltre che con la parola e con la vista. Un altro accorgimento che ho adottato e che ritengo fondamentale in questo settore, è che nei libri per bambini non ci deve essere il protagonista, perché il protagonista ‘plagia’ il bambino. Nei miei libri il protagonista è il bambino stesso che guarda, che entra nella nebbia, che guarda la giraffa attraverso il buco della pagina – nel libro Chi è? Apri la porta –, che apre la porta: dentro i libri ci sono molti personaggi e molte storie semplici ma curiose, però nessun protagonista. È il bambino che si deve sentire protagonista”.
    da: Giorgio Maffei, Munari. I libri, Milano, SylvestreBonnard, 2002, p. 72
    
Negli anni ’40 escono Mondo, acqua, aria, terra, della casa editrice Italgeo, con immagini geografiche per ragazzi, in custodia di cartone che contiene quattro libri;
    Per Einaudi nel 1942 esce anche l’Abecedario di Munari: alla lettera S Einaudi aveva chiesto di illustrare lo Struzzo. Munari, consegnando il lavoro, scrive: “per i fondi colorati della pagina di sinistra e per le lettere alfabetiche della pagina di destra potreste fare dei clichè di legno, questo vi porterebbe una grande economia”. Segno che teneva d’occhio sia i processi di stampa sia il problema economico.
    Abecedario di Munari - Einaudi (1942)
    Per Mondadori, nel 1945 esce la collana intitolata i Libri di Munari, una collana di 9 titoli nei quali si sbizzarrisce con le tecniche delle pagine fustellate e ritagliate e degli inserti di svariate forme, dimensioni e colori. Il risultato sono questi volumi dalle storie ricche di suggestioni visive e tattili, corredati da testi ironici e divertenti e dai disegni eleganti e coloratissimi dell’autore.
    La raccolta comprende : Mai contenti (n. 1); L’uomo del camion (n. 2);Toc Toc (n. 3); Il prestigiatore verde (n. 4); Storia di tre uccellini (n. 5); Il venditore di animali (n. 6); Gigi cerca il suo berretto (n. 7), Che cos’è l’orologio (n.8),; Che cos’è il termometro (n.9) , all’interno delle poche pagine, si aprono finestre e si sollevano alette. Sono, insomma, giochi e contenitori di sorprese che chiamano il lettore bambino a interagire.
     Mai contenti - Mondadori (1945)
     L'uomo del camion - Mondadori (1945)
     Toc toc - Mondadori (1945)
     Il prestigiatore verde - Mondadori (1945)
     Storie di tre uccellini - Mondadori (1945)
     Il venditore di animali - Mondadori (1945)
     Gigi cerca il suo berretto - Mondadori (1945)
     Che cos'è l'orologio - Editrice Piccoli (1947)
     Che cos'è il termometro - Editrice Piccoli (1947)


    Munari stesso riferì le circostanze della creazione di questi splendidi volumi:
    "Nel 1945, mio figlio aveva 5 anni e io volevo comprargli qualche libro. Ma non trovavo niente che, secondo me, fosse giusto per un bambino di 5 anni. Perchè(…) gli editori stampano libri per bambini pensando che non sono i bambini a comprarli, ma gli adulti. (…) Ho cominciato poi a ideare delle storie molto elementari e ho fatto addirittura - dato che sono anche un grafico - dei menabò, cioè dei bozzetti di libri. Li facevo vedere a mio figlio, il quale era il mio verificatore, perchè volevo controllare che la cosa funzionasse. Non volevo fare un libro falso. (…) Poi ho pensato a quello che avevo fatto per mio figlio, poteva essere interessante continuarlo per altri bambini."
    Da “Giorgio Maffei, Munari. I libri, Milano, SylvestreBonnard, 2002, p. 66.

    MUNARI BRUNO, Il venditore di animali
    Milano, Mondadori, 1945.
    In 4º, 6 c.n.n., illustrazioni a colori di Munari.
    Legatura in cartone rigido illustrato con punto metallico.
    Illustrato a colori con cartoncini ad ante mobili.N° 6 della collana
    MUNARI BRUNO, L'uomo dei camion

    Coll. I

    libri Munari n° 2

    Cart. ed.

    Dei dieci menabò proposti, l’editore pubblica il primo e il secondo nell’ottobre 1945. Fino al dicembre 1946 escono sette titoli “con carte diverse e con il materiale grafico che si trovava in quel momento” B.Munari Bruno Munari
    Quali siano questi ultimi libri lo sappiamo bene perché sono ancora sui banchi dei librai, grazie alla riedizione che ne ha fatto l’editore Corraini di Mantova.

    L’Alfabetiere di Munari, dove le lettere non sono nell’ordine tradizionale, ma in base al grado di difficoltà di realizzazione grafica. Si comincia dalla i, si prosegue con la u e così via. Le lettere dell’alfabeto sono realizzate con un collage di ritagli, e in ogni pagina è presente un ampio spazio bianco perché i bambini possano incollare le lettere che avranno precedentemente identificato e ritagliato. I ritagli vengono poi posizionati riproducendo la forma della lettera stessa.Tutte le lettere dell’alfabeto maiuscolo possono essere scritte usando alcuni elementi base, comuni a ogni lettera: linee dritte e linee curve.

    Le linee dritte possono essere disposte in verticale, orizzontale o inclinate; le linee curve possono essere orientate in varie direzioni o chiuse. Questa scatola contiene, realizzate in cartone, una piccola serie di queste linee con le quali il bambino puo comporre ogni lettera dell’alfabeto maiuscolo arrivando così a conoscerne la vera forma: saprà, per esempio che la R e formata da una linea verticale, una curva e una inclinata; che la D e formata da una verticale e una grande curva, eccetera. Quando avrà capito bene la forma di ogni lettera, si divertirà a comporne di grandissime, a fare delle varianti, usando più elementi assieme.

    Nel 1960 Munari realizza per Danese ABC con fantasia, gioco per bambini ma non solo, in cui armonizza la propria attenzione per il mondo dei più piccoli con le ricerche sul tema del multiplo.
    26 elementi lineari e circolari possono comporre infatti qualsiasi lettera dell’alfabeto, ma anche, se si vuole, altre figure di fantasia. Flessibili e componibili, le tessere che compongono il gioco si prestano ad essere accostate e sovrapposte se è il caso: un modo creativo per accostarsi alla lettura e alla scrittura, ma anche per divertirsi poi a scombinare regole e forme, a inventare e reinventare il proprio alfabeto.

    GUARDIAMOCI NEGLI OCCHI
    Dimensioni: cm 20.0x20.0
    Pagine: 25 (schede sciolte) su cartoncini colorati, 1 quartino di testo
    Illustrazioni: 25 b/n
    Rilegatura: Cartella a croce in cartoncino plastificato lucido stampato a colori
    Il libro nasce nel 1969 come regalo ( la prima edizione in 250 esemplari non entrò mai in commercio).
    Il tema delle “facce” tanto caro a Munari diventa qui un gioco legato agli occhi e alle diverse possibilità del vedere: “...mescolate i disegni, cambiate i colori degli occhi, abituiamoci a guardare il mondo con gli occhi degli altri…”. Bruno Munari con queste parole dà un’indicazione d’uso dei 25 cartoncini colorati tutti con i fori per gli occhi.
    Nato in origine come scultura e frutto delle esplorazioni di Munari sul tema del multiplo, Aconà Biconbì viene prodotto come “gioco” per la prima volta da Danese nel 1961.
    I moduli di dischi circolari con un buco al centro, piegati lateralmente ed accoppiati liberamente tra di loro, danno origine a una costruzione tridimensionale più complessa, che può variare fra illimitate combinazioni in base al numero degli elementi e alla loro disposizione. 

    ACONA' BICONBI'
    Scultura multipla di Bruno Munari
    Dimensioni: cm 22.0x22.0
    Pagine: 10 dischi 
    Fonte d’ispirazione per numerosi designer e artisti di tutto il mondo, Aconà Biconbì è stato più volte reinventato e “plasmato” nei più diversi materiali.

    PIU' E MENO

    Dimensioni: cm 15.5x15.5
    Il gioco visivo “Più e meno” è composto di 72 carte con diverse immagini. Molte di queste immagini (48) sono su fondi trasparenti, così da poterle sovrapporre per comporre altre immagini più complesse stimolando le capacità creative del bambino. 
Sovrapponendo alcune immagini di alberi si compone un bosco.

    Sovrapponendo al bosco il disegno della pioggia o quello del sole o della luna, o quello del volo degli uccelli, o quello di un cane che passa, eccetera, si modifica a piacere, continuamente, l’immagine totale.
    Bibliografia e immagini web : 

    http://www.andarperlibri.it/Munari.htm
    http://www.rossellagrenci.com/2010/08/tanti-modidi dire-alfabeto-lalfabetiere-di-munari/
    http://www.corraini.it/scheda_libro.php?id=336http://www.corraini.it/scheda_libro.php?id=160
    http://comicsando.wordpress.com/comics-books/brunomunari/
    http://eventi.parma.it/page.asp?IDCategoria=28&IDSezione=565&ID=214869
    http://www.corraini.com/scheda_libro.phpid=292
    http://www.corraini.com/scheda_libro.php?id=337
    http://roma.bloomsburyauctions.com/detail/ROMA-28/169.0
    http://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Munari
    http://labibliotecadeiragazzibarletta.info/parliamodi.html
    http://www.libreriauniversitaria.it/toc-toc-chi-apri-porta/libro/9788887942361
  • 9. Olivetti, Pubblicato da Aromolo Francesco a 11/28/2011 10:36:00 PM
  • lunedì 28 novembre 2011

    Olivetti

    Lo Stile "Olivetti"

    Lexikon 80, Lettera 22, Divisumma, Valentine, Quaderno… storie di prodotti che con l’eccellenza di tecnologia e design conquistano i mercati e trovano posto nei musei
    Dobbiamo far bene le cose e farlo sapere”. Con queste parole Adriano Olivetti intendeva che l’impresa, oltre a ricercare l’eccellenza in tutte le attività, deve anche saper comunicare i suoi valori e costruire un’immagine che sia l’espressione veritiera della realtà aziendale. L’impresa può comunicare con il design di un prodotto, con l'architettura di una fabbrica, l’arredo di un negozio, la grafica di un poster, il testo o il disegno di una pubblicità… La bellezza dei prodotti, degli edifici, dei poster o dei messaggi pubblicitari nella tradizionale cultura Olivetti non ha un valore solo formale: la bellezza della forma comunica la realtà dell’azienda e perciò ha un valore sostanziale. Le scelte estetiche in tutte le aree di attività sono considerate importanti quanto le scelte tecnologiche o gestionali. Lo “stile Olivetti” nasce da questa cultura che permea ogni fase della vita aziendale, ma che affida al prodotto e al suo design un ruolo centrale. Quando in Italia ancora non esistono scuole per il design industriale, in Olivetti i designer sono già al lavoro. Designer che non si limitano a ricercare “un bel vestito” per una nuova macchina, ma che lavorano a stretto contatto con i progettisti per dare un senso e una giustificazione a ogni forma dal punto di vista comunicativo, funzionale, ergonomico. Ai designer si chiede di disegnare forme capaci di comunicare in modo immediato la funzione del prodotto; di facilitarne l’uso e di mettere l’utilizzatore a proprio agio, eliminando tutto ciò che è superfluo o ambiguo; di esprimere il carattere tecnologico del prodotto attraverso forme coerenti con lo stile e i valori del suo tempo. Il design delle macchine per ufficio meccaniche L’aspetto estetico dei prodotti era considerato molto importante già dal fondatore Camillo Olivetti, che nel 1912 scriveva: “la macchina per scrivere non deve essere un gingillo da salotto, con ornamenti di gusto discutibile, ma deve avere un aspetto serio ed elegante nello stesso tempo”. Negli anni ’30, con Adriano Olivetti, il design e la comunicazione acquistano un posto più rilevante ed esplicito nella gestione della Società. Adriano chiama in Olivetti scrittori, architetti, grafici e artisti che portano nuove idee e partecipano con larga autonomia a gruppi di lavoro interdisciplinari. I segni del cambiamento sono già visibili nella MP 1 (1932), una portatile che abbandona la forma monumentale delle prime macchina per scrivere per adottare una forma più appiattita e leggera. Con la Studio 42 (1935) la stretta collaborazione tra progettisti e designer inizia fin dalle prime fasi del progetto; si inaugura così un metodo di lavoro che verrà mantenuto anche in seguito. Negli anni ’50 l’eccellenza della tecnologia e del design consentono ai prodotti Olivetti di ottenere grandi successi sui mercati internazionali. Un ruolo primario è svolto da Marcello Nizzoli, architetto eclettico con una forte propensione alla comunicazione, che fin dal 1938 ha uno stretto rapporto di collaborazione con l’Olivetti. I prodotti di Nizzoli sono disegnati con uno stile improntato a una continua ricerca della massima funzionalità e sincerità espressiva; tra gli altri si ricordano le calcolatrici MC4 Summa (1940), Divisumma 24 eTetractys(1956); le macchine per scrivere Lexikon 80 (1948) e Lettera 22 (1950). In particolare la Lexikon 80 rappresenta un punto di riferimento nella storia internazionale del design per le soluzioni rivoluzionarie adottate che integrano innovazione tecnologica ed eccellenza formale: i due pezzi del coperchio e della copertura combaciano perfettamente con linee morbide, realizzate grazie al nuovo processo di pressofusione, per cui la carrozzeria può essere studiata come un unico involucro da modellare. Anche laLettera 22 entra molto presto nel mito della storia Olivetti. Questa continua ricerca nel campo del design ottiene numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Il Museum of Modern Art (MOMA) di New York nel 1952 organizza per la prima volta una mostra di prodotti industriali e la dedica a “Olivetti: design in industry”. Dalla Lexikon 80 in poi sono una decina i prodotti Olivetti che entreranno a far parte delle collezioni permanenti del MOMA.Nel design delle macchine per scrivere elettriche la Praxis 48(1963), disegnata da Ettore Sottsass, segna una svolta: la linea più squadrata sottolinea il valore tecnologico di uno strumento di lavoro, mentre la soluzione formale della tastiera a mensola rispetto alla scatola del corpo è frutto delle notevoli possibilità tecniche ed estetiche offerte dal sistema elettrico. Ben diversa è la soluzione che Sottsass propone per la Valentine (1969), la portatile rosso fuoco definita dal poeta Giovanni Giudici “una Lettera 32 travestita da sessantottina”. E’ il primo esempio di un prodotto per ufficio anticonformista e sorprendente, che precorre l’evoluzione del mondo del lavoro verso uno stile più informale. Con l’elettronica innovazione di prodotto e di design Con l’avvento dell’elettronica anche il lavoro del designer subisce dei cambiamenti: se con le macchine meccaniche la carrozzeria era la copertura di un meccanismo complesso (es. la Divisumma era costituita da 2000 pezzi di meccanica fine), con quelle elettroniche la libertà per il designer è maggiore, poiché i pezzi possono essere composti in maniera più libera. La sua funzione diventa realmente progettuale: tocca al designer trovare forme e soluzioni ergonomiche che soddisfino le attese e le esigenze del cliente.L’era dei prodotti elettronici si apre con l’Elea 9003 (1959), il primo grande elaboratore realizzato in Italia. Innovazione del prodotto e innovazione del design: Ettore Sottsass per soddisfare le esigenze di modularità e combinabilità di questo sistema complesso ricorre a una brillante soluzione di cablaggio aereo delle varie unità di elaborazione. La piccola elettronica Olivetti si inaugura con la Programma 101 (1965), il calcolatore da tavolo disegnato con grande eleganza e funzionalità daMario Bellini. I modelli seguenti della stessa serie e il sistema per la raccolta dei dati TCV 250(1967) presentano linee continue date da una membrana elastica che si tende sui diversi volumi. Il 1973 è un anno di particolare innovazione nel design delle calcolatrici elettroniche, con la Divisumma 18 e la Logos 68, entrambe disegnate da Bellini. Per differenziarsi da altri prodotti anonimi, queste calcolatrici puntano su forme nuove: una particolare sezione triangolare per la Logos; l’insolito rivestimento in materiale gommoso, morbido al tatto, per la Divisumma. Negli anni ’80, con la crescente standardizzazione tecnologica dei prodotti, il design assume un ruolo ancora più vitale nella strategia aziendale: il design diventa mezzo di distinzione e garanzia dell’eccellenza del prodotto. Sul mercato la novità sono i personal computer. Per il primo PC Olivetti, l’M20del 1982, lo studio Sottsass adotta una soluzione che integra tastiera, unità centrale e video in un unico corpo. Ma nei modelli successivi il design Olivetti deve piegarsi all’esigenza di componibilità dei PC, che impone la separazione dei tre componenti base. Nel campo dei notebook il design Olivetti dedica particolare attenzione all’ergonomia, come nel caso dell’M10 (1983) di Perry A. King e Antonio MacchiCassia, che offre un display a inclinazione variabile e tasti facilmente leggibili, e del Quaderno (1992) di Mario BelliniHagai Shvadron, il primo notebook in formato A5. Negli anni ’90 la tradizione del design Olivetti è mantenuta viva da Michele De Lucchi, a cui si devono i notebook delle serie Philos (1992) ed Echos (1993), oltre a numerose stampanti, fax, copiatrici e altre macchine multifunzionali, in prevalenza con tecnologia inkjet. Con De Lucchi il design Olivetti continua ad ottenere riconoscimenti, come testimoniano il Compasso d’oro assegnato alla stampante ArtJet 10 nel 2001 e l’IF Design Award attribuito al Cebit di Hannover nel 2000 a un prodotto multifunzionale, il JetLab 600.
    FONTI:
    FONTI IMMAGINI:
  • 9. Olivetti, Pubblicato da Maria Lorenza Crupi a 11/22/2011 06:10:00 PM
  • martedì 22 novembre 2011

    E.M. Olivetti

    "Simple is beautiful"
    La prima scritta "Olivetti" in corsivo e in lettere dorate secondo il gusto dell'epoca, rispetta le indicazioni date dallo stesso fondatore, Camillo Olivetti.
    Costituita nel 1908 come "prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere", fin dagli inizi l'Olivetti si distingue per l'attenzione alla tecnologia e all'innovazione, la cura del design, la presenza internazionale, la sensibilità verso gli aspetti sociali del lavoro.
    Questi caratteri sono impressi dal fondatore Camillo Olivetti e dal figlio Adriano, che trasforma l'azienda familiare in un moderno gruppo industriale.
    Conquistate posizioni di leadership mondiale nei prodotti meccanici per ufficio, già negli anni '50 l'Olivetti investe nella tecnologia elettronica con importanti risultati. La scomparsa di Adriano Olivetti (1960) e il peso degli investimenti rallentano la transizione verso l'elettronica; ma nel 1978 esce la prima macchina per scrivere elettronica a livello mondiale e nel 1982 il primo PC professionale europeo.
    Negli anni '80, sostenuto da una vasta rete di accordi e alleanze, accelera lo sviluppo nell'informatica e nei sistemi. La progressiva riduzione dei margini di redditività d
    el business informatico e i nuovi sviluppo delle telecomunicazioni, negli anni '90 spingono l'Olivetti spostare il baricentro verso questo settore, dapprima creando Omnitel (1990) eInfostrada (1995) e poi acquisendo il controllo di Telecom Italia (1999), con la quale si fonde nel 2003.
    L'attuale Olivetti, controllata da Telecom Italia, mantiene viva la tradizione della società nei settori del personal printing, dei fax, dell'automazione dei giochi e del ticketing.
    Il progetto di E. Sottsass e i mobili della Serie 45 di Olivetti Synthesis

    "La serie 45 può essere considerata come uno dei più completi sistemi per ufficio oggi sul merc
    ato. Comprende una serie di attrezzature per la famiglia delle macchine elettroniche Olivetti, un pacchetto complessivo di mobili per ufficio (tavoli, scrivanie, sedie impilabili, basi, cassettiere) ed un assortimento di accessori che vanno dal portaombrelli ai supporti per il telefono. Si tratta di un completo e consistente vocabolario di arredo per uffici innovativo al punto di essere muto nel
    design, ma spiritoso in alcuni dettagli e raffinato e rigoroso nell'uso del colore. E' anche raccomandabile per il suo prezzo".
    Con queste parole nel '73 Alastair Best commentava sul n.289 della rivistaDesign la nuova serie di mobiili e attrezzature per ufficio presentata dallaOlivetti Synthesis, società del Gruppo Olivetti specializzata in questo settore.
    Il carattere qualificante nella progettazione della Serie 45 probabilmente risiedeva nella ricerca di soluzioni
    sempre più razionali per l'arredamento degli ambienti d'ufficio; ricerca ispirata e guidata nei primi anni '70 da Ettore Sottsass, con la collaborazione di diversi designer, da Perry King ad Albert Leclerc, da Bruno Scagliola a Tiger Umeda e Jane Young.
    Il progetto di Sottsass (1917-200
    7) non era improvvisato. Fin dal 1958 questo grande designer aveva avviato con l'Olivetti una fruttuosa collaborazione che nel 1959 si era tradotta nel design dell'Elea 9003, il primo elaboratore elettronico italiano.
    Nei primi anni '60 Roberto Olivetti gli aveva proposto di entrare in azienda, ma Sottsass, spirito irrequieto e libero, aveva rifiutato e controproposto una diversa soluzione: creare due gruppi di design, uno interno all'azienda formato da dipendenti e anche da collaboratori di Sottsass, l'altro collocato nello studio di Sottsass dove operavano vari designer, come lui indipendenti, ma dove erano distaccati anche alcuni tecnici dell'Olivetti. I due gruppi avrebbero avuto ruoli diversi: il primo più legato alle esigenze aziendali di produzione e vendita del prodotto, il secondo più libero e capace di una visione allargata all'intera immagine aziendale. Più tardi, in uno scritto del '79, lo stesso Sottsass spiegava la logica di questa inconsueta struttura: " Per tradizione nelle industrie (...) i problemi del design sono gestiti dal marketing, cioè dalla gente responsabile di vendere i prodotti. (...) E' logico che tutti gli allettamenti, i profumi, i fischietti, i campanelli, tutte le tecniche persuasive che si possono inventare per rendere vendibili i prodotti siano studiate e messe a disposizione delle persone cosiddette di marketing. Tra queste tecniche persuasive il design sembra essere una delle più persuasive. (...) Se invece di ha un'altra visione del ruolo del design per la quale il design non si esaurisce nella progettazione di un qualsiasi alibi estetico per uno o per cento prodotti di un'industria, ma si configura come momento di partecipazione più vasta al progetto dell'immagine, forma e figurazione dell'intera industria in quanto evento pubblico, allora la posizione degli studi di design non può più stare dove si specula sul mercato, ma deve esse
    re dentro la zona dove si specula sul ruolo globale dell'industria ".
    Con questa visione del ruolo del design Sottsass maturò l'idea di costruire uno schema generale di riferimento dimensionale che potesse essere utilizzato per qualsiasi prodotto per ufficio; la soluzione venne identificata nella costruzione di una specie di griglia strutturale che avrebbe dovuto essere in grado di contenere e integrare i volumi tecnici delle varie apparecchiature elettroniche. Questa impostazione per le apparecchiature elettroniche ebbe scarso successo, ma quando la stessa idea venne trasferita all'ambito dei mobili per ufficio le cose andarono molto meglio e il progetto risultò vincente. L'idea di fondo era quella di un modulo tridimensionale su cui dimensionare sia mobili che gli arredi per l'ufficio, avendo presenti anche gli spazi dedicati alle macchine, ai telefoni e agli altri oggetti che sui mobili di un ufficio devono trovare posto. Nel modulo pensato da Sottsass la misura di 45 centimetri rappresentava un riferimento base; da qui, la denominazione di "Serie 45".
    La singolarità del progetto di Sottsass sta nella semplicità della linea dei mobili e degli arredi; linea ispirata a criteri di funzionalità e modularità e quindi per nulla trasgressiva, a differenza di quanto emerge invece da tanti progetti sviluppati da Sottsass nel campo dei mobili e dell'arredamento.Pensiamo non solo all'esperienza straordinaria dei mobili progettati dal gruppo Memphis, ma per esempio, ai mobili preparati per la mostra "Italy, the new domestic landscape" al Moma di New York nel 1972: contenitori in fibra di vetro montati su rotelle, pronti per essere spostati da un luogo all'altro della casa e per essere aggregati in vario modo in funzione degli spazi disponibili e delle esigenze delle persone in quel momento. Mobili, come lo stesso Sottsass scrive, di "forma non graziosa, ma un pò brutale, anche un pò trasandata"...."mobili messi su ruote molto scorrevoli, in modo che anche un bambino li possa spostare facilmente dove gli pare e piace".
    La Serie 45 ha comunque qualcosa in comune con questo approccio del design: all'eleganza delle forme e alla ricchezza dei materiali impiegati vengono anche per questi mobili preferite la semplicità delle forme e la modularità che consente di realizzare e modificare a piacere le composizioni dell'arredamento, con la scelta tra diversi colori e la possibilità di aggiungere comunque un tocco personale ricorrendo a qualcuno dei molti arredi complementari. Mobili per tutti gli uffici, dunque, che non si differenziano in funzione delle "gerarchie" aziendali, ma in funzione delle diverse necessità operative dell'utente.

    La Serie 45 è articolata in oltre 100 componenti che consentono un'ampia varietà delle forme: tavoli e scrivanie di diverse dimensioni, tavolini per calcolatrici e macchine da scrivere, sedie, cassettiere fisse o su rotelle, armadi e classificatori verticali, pannelli divisori snodabili per l'arredamento degli uffici "open space", numerosi accessori da tavolo o da pavimento (portamantelli, portaombrelli, cestini per la carte, vaschette portadocumenti, portaoggetti, mensole reggitelefono, posacenere, ecc.).
    Come scrive Enrico Morteo nel catalogo della mostra "Olivetti, una bella società" (Allemandi & C., Torino 2008), i "grandi componenti di base sono spartani, formalmente semplici, tecnicamente elementari e molto economici. A questi si aggiungono elementi funzionali come paraventi, scaffali e cassettiere nei quali ili disegno di alcuni dettagli in plastica stampata già conferisce un maggior grado d'identità. Infine le seggiole, gli appendiabiti e i piccoli complementi da tavolo: oggetti a elevata densità formale, colorati, ironici, allegri".
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    Maria Lorenza Crupi